Milano. 80 anni di vita e arte: intervista a Ercole Pignatelli
La Triennale di Milano rende omaggio a Ercole Pignatelli (Lecce, 1935) con il grande progetto espositivo Le fatiche di Ercole: all’interno dello spazio dell’Impluvium, appositamente trasformato in un ring estroflesso, Pignatelli porterà a termine in soli 24 giorni una monumentale tela di 120 metri quadrati che abbraccerà tutto il perimetro della sala, sotto lo sguardo attento dei visitatori. L’intervista, realizzata in Triennale durante un momento di pausa dal suo lavoro, diventa occasione per condividere l’omaggio a un Maestro che a ottanta anni conserva lo spirito e l’energia di un ragazzo.
Vittorio Schieroni: Ottanta anni di vita e arte celebrati da una mostra qui in Triennale. Com’è nata l’idea del progetto Le fatiche di Ercole, che si avvale anche della collaborazione dell’architetto e designer Fabio Novembre?
Ercole Pignatelli: Parte proprio da Fabio Novembre. In questi ultimi due anni siamo stati molto vicini, abbiamo parlato spesso e probabilmente lui ha visto in me un pittore che a ottant’anni si può permettere ancora di fare qualcosa con i pennelli e i colori, come diceva Picasso, mentre il resto viene dopo, come la tecnica va da sola se ne hai abbastanza. Ho sessantacinque anni di esperienza artistica e credo di poter contare sulle mie possibilità.
Un leccese di successo è anche Fabio Novembre, che per lei ha ideato un ideale ring-palcoscenico dove i visitatori possono vederla dipingere giorno per giorno la sua grande opera.
Evidentemente c’è stata una scintilla che ha fatto sorgere in lui questo desiderio di vedermi attraverso una lente d’ingrandimento. Fabio ha avuto l’idea di questo ring: lui mi vede come un lottatore e per questo motivo ha deciso di prepararmi questa sorpresa.
Lei conserva lo spirito e l’energia di un ragazzo… e non lo dico soltanto io, ma tutte le persone che la conoscono. Vuole trarre un bilancio di questo percorso artistico lungo e ricco di riconoscimenti?
La carriera di un artista, se è svolta in maniera seria e profonda, può essere costellata di un insieme di eventi e situazioni che lo portano ad avere fede in se stesso e a continuare aggiungendo ogni giorno qualcosa al proprio lavoro e alla propria personalità. Bisogna essere consapevoli di aver intrapreso una carriera difficilissima, soprattutto al giorno d’oggi perché sono intervenute circostanze inaspettate che hanno portato alla ribalta anche cose che non hanno a che fare con l’arte, con la pittura e la scultura in particolare. Come scrive Jean Clair nel suo libro La crisi dei musei e negli altri suoi testi, tra poco saranno tutti artisti e forse per strada si troverà ogni tanto anche qualcuno che artista non è; Jean Clair ha intuito che si costruiscono musei sempre nuovi e sempre più grandi per non contenere nulla. La carriera di un vero artista, la carriera di un pittore è molto difficile.
Durante la conferenza stampa di inaugurazione di questo progetto ha esclamato che la vita di un artista, pur essendo piena di grandi soddisfazioni, è piena anche di grandi problemi.
Non hai un momento di tregua, è sempre un punto e a capo: quando hai finito qualcosa noti che c’è uno spiraglio, una sbavatura sulla quale si può cominciare a tessere qualcosa di nuovo. La personalità di un artista può contraddistinguersi in due modi diversi. Si può portare avanti tutta la vita un cliché, e ciò significa probabilmente essere privi di anima, vivere bene ma non avere qualcosa da risolvere perché si è già risolto tutto. Io, invece, appartengo a quella razza di artisti maledetti che non sono mai soddisfatti, infatti, dopo sessantacinque anni di lavoro, mi ritrovo a fare qualcosa che non ho mai fatto nella vita, senza progetti, senza niente, io vado all’arrembaggio.
Questo essere sempre in qualche modo insoddisfatti del proprio lavoro mi ricorda il tormento di Giacometti per le teste che creava e che tornava a creare in maniera ossessiva.
Giacometti è riuscito a far venire dal Giappone il Professor Yanaihara e a farlo posare ottanta volte per fargli un ritratto. Non era mai soddisfatto e così penso siano stati anche Bacon, Picasso e tanti altri artisti.
Non è la prima volta che ho il piacere di vederla dipingere dal vivo. Nel 2011 scrissi un articolo su di lei per EosArte e per l’occasione la ripresi con la telecamera mentre era al lavoro per la realizzazione di Germinazioni 2011 a Palazzo Lombardia, il grattacielo sede della Regione. Mi ha sempre stupito il fatto che le forme e le figure che lei crea sembrino scaturire dal pennello in maniera naturale, spontanea. Quanto spazio lascia all’ispirazione del momento e all’istinto nella creazione di un’opera d’arte tanto articolata e di simili dimensioni?
La vera risposta è che proprio non lo so. Molte volte me lo domando e la risposta è sempre questa: evidentemente c’è dentro di me qualcosa che mi avvicina all’istinto animalesco, a quell’istinto che è capace di darti delle prove delle quali non ti potrai mai rendere conto prima di portarle a termine. Questa è la vera valvola di sicurezza per uno che fa il pittore come me: noi siamo assurdamente inconsapevoli di cosa avverrà dopo. Senza questi ingredienti che sono canonici dell’arte probabilmente non si arriverebbe a certi risultati: la pittura, quella vera, non ha tramonto.
I colori e le luci della Puglia, sua mai dimenticata terra d’origine, rivivono nei suoi lavori. Quanto ha influito e influisce tuttora questo spirito mediterraneo sulla poetica e la produzione artistica di Ercole Pignatelli?
Si può senz’altro dire che dopo tanti anni questa visione si sia stemperata andando oltre il mio essere pugliese. Anche nei motivi ornamentali e architettonici c’è una parvenza originaria, ma credo di averla abbastanza superata e filtrata: una casa che realizzo è un cubo con una finestra e una porta d’ingresso, ma non è più necessariamente una casa del Salento, della Puglia.
Un pugliese che nel 1953 è approdato a Milano per la sua affermazione. Qual è il suo rapporto con questa città d’adozione, tanto distante, non solo geograficamente, da Lecce e dalla Puglia?
Ho scelto Milano perché a quell’epoca era la giusta metropoli da scalare per cercare un tipo di espressione che mi avrebbe portato dove poi mi ha portato. È paradossale dire che preferivo Milano allora, la Milano del dopoguerra, della ricostruzione, che vantava un gruppo ben folto di grandi artisti. Proprio la stessa sera del mio arrivo a Milano, quando ho preso una stanza in Via Formentini, proprio dietro il Bar Jamaica a Brera, ho avuto la fortuna di conoscere tutti i più grandi artisti di allora, da Lucio Fontana al fotografo Ugo Mulas, Salvatore Quasimodo, Raffaele Carrieri, Piero Manzoni. Venivano tutti lì, era un punto di passaggio e quel posto tutto sommato era per noi una casa.
Prima di lasciarla tornare alle sue “fatiche” in Triennale, ci può parlare di alcune iniziative di particolare interesse che la vedranno impegnata prossimamente?
Fra i prossimi progetti, uno a cui tengo molto e a cui sto lavorando da tre anni è WeArtFamily.com, che sarà online da metà dicembre. Questo è un progetto che mi sta molto solleticando. Sto, inoltre, scrivendo le memorie della mia vita, il libro dovrebbe uscire l’anno prossimo e sarà realizzato grazie al supporto di Giuseppe Lezzi della M77 Gallery di Milano.
L’intervista a Ercole Pignatelli è stata realizzata presso La Triennale di Milano mercoledì 11 novembre 2015.
Le immagini che accompagnano il testo sono state scattate da Vittorio Schieroni nel corso dell’inaugurazione del progetto Le fatiche di Ercole (5 novembre 2015) e il giorno dell’intervista.