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19 Feb 2010

L’Istituto Centrale per il Restauro è un “senzatetto. Intervista a Fabiano Ferrucci di Marcello Mottola

 L’Istituto Centrale per il Restauro, con tutto il suo staff di tecnici, macchinari, attrezzature scientifiche ed archivi sta per essere messo in strada dall’insipienza dei nostri amministratori. E’ da non credere ma alla fine del prossimo mese di febbraio 2010, con sfratto esecutivo, l’Istituto Centrale per il Restauro (I.C.R.) sarà costretto a lasciare la sua sede romana di San Pietro in Vincoli, senza avere una destinazione alternativa accettabile. 

A Fabiano Ferrucci, docente di restauro presso l’Università degli Studi di Urbino e noto restauratore proveniente dall’I.C.R, abbiamo posto alcune domande.

Come è possibile una tale indifferenza della classe politica per un settore ritenuto tra i pochi di cui ancora l’Italia può vantarsi?

L’annosa questione di una nuova sede per l’ICR (recentemente ridenominato ISCR Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro) dà la misura di quale considerazione politici e burocrati hanno del nostro patrimonio culturale e della sua conservazione: un bel fiore da mettere all’occhiello quando serve farsi belli all’estero o per attrarre turisti nel Bel Paese, ma quando c’è da rimboccarsi le maniche per trovare risorse, come nel caso in questione, i beni culturali ed il restauro delle opere d’arte diventano solo un problema, di fronte al quale voltare la faccia ed intorno al quale lasciare discutere nei convegni scienziati e storici.

Ma esattamente cosa sta succedendo?

L’Istituto Centrale per il Restauro sta per essere sfrattato da palazzo Cesarini Borgia e dal convento seicentesco annesso alla chiesa di San Francesco di Paola, sede che occupa dalla sua fondazione nel 1939. Il Ministero dei Beni Culturali non ha raggiunto un accordo con l’Ordine dei Frati Minimi, proprietario dell’immobile, che ha deciso di non rinnovare il contratto di locazione. Le proposte di mediazione e le soluzioni logistiche alternative non si sono concretizzate, quindi il 12 gennaio 2010 l’attuale Direttore, da poco nominato ed erede di una situazione irrisolta da decenni, ha comunicato l’imminente sfratto esecutivo con l’uso della forza pubblica. Così una vicenda di normale amministrazione si è trasformata, con un copione tutto all’italiana, in un’emergenza nazionale.

Che conseguenze ci saranno?

La riapertura della Scuola del Restauro (i cui corsi sono sospesi dal 2006) potrebbe essere ulteriormente rimandata, le apparecchiature scientifiche rimarranno inutilizzate ed il personale, costituito in buona parte da restauratori e tecnici estremamente specializzati, rimarrà inoccupato, continuando comunque a percepire stipendi e gravare sulle tasche dei contribuenti; i restauri in corso sulle opere e sui beni raccolti fino ad oggi dall’Istituto subiranno rallentamenti. Ed il tutto accadrà in un momento drammatico, quale è quello della gestione post-sismica dell’Aquila, in cui sarebbe strategico ed insostituibile avere un ente come l’l.C.R. operativo al 100%.

Si rischia quindi un’ulteriore frammentazione fisica dell’ente, con la conseguente paralisi delle attività e la dismissione di questa istituzione, che sembrerebbe essere a questo punto l’obiettivo finale di chi non hai mai sopportato, fuori e dentro il Ministero, la presenza di una struttura dotata di autorevolezza ed autonomia.

Infine tutto ciò si rifletterà negativamente sul prestigio italiano nel campo del restauro, oltre che più in generale sul sistema della tutela del Patrimonio Culturale e sull’immagine dell’Italia all’estero.

Ma come mai in tanti anni non si è trovata una sede unica e definitiva ad uno dei pochi enti che ancora gode di una certa fama internazionale?

In Germania, in Francia, in Spagna o in un altro paese con una classe politica e amministrativa più accorta, probabilmente lo avrebbero fatto in meno di 7 anni. Da noi non ne sono bastati 70.

Vale la pena ricordare che il rischio dello “sfratto” si era già proposto nel 1967 e fu evitato grazie all’azione di Pasquale Rotondi, allora direttore e personaggio noto principalmente perché salvò innumerevoli capolavori italiani durante il conflitto bellico, nascondendoli nella rocca di Sassocorvaro. Sentite cosa scriveva La Stampa del 29 Novembre 1967: “Il professor Rotondi, giustamente preoccupato delle sorti del suo Istituto, si rivolge a La Stampa perché l’opinione pubblica sia edotta di un problema di cultura che ancora una volta coinvolge la dignità nazionale. Fra venti mesi i frati del convento di S. Francesco di Paola rientreranno in possesso dei loro locali e l’istituto Centrale del restauro rimarrà un senzatetto. Si cerca a Roma una nuova sede e, incredibile a dirsi, non la si trova”.

Come finì la vicenda che oggi si ripropone negli stessi termini, come se più di 40 anni non fossero bastati ad affrontarla in modo definitivo?

Nel 1969, dopo anni di istanze ai referenti politici, Rotondi finalmente ottiene l’acquisto del complesso del S. Michele a Ripa. Ma solo una limitata porzione dell’edificio fu concessa all’I.C.R., mentre il Centro Internazionale di Studi per la Conservazione ed il Restauro dei Beni Culturali (ICCROM) sarà collocato in un’ala opposta del fabbricato, separando due organi che Rotondi voleva contigui. L’I.C.R. ha continuato quindi fino ad oggi ad essere dislocato su due sedi, ubicate in quartieri differenti della capitale. Ed oggi una delle due sedi sta nuovamente per essergli sottratta!

Che si può fare?

Tra le iniziative intraprese è stata proposta una lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La Lettera Aperta, alla quale invito ad aderire, è stata registrata sul sito internazionale GoPetition, al seguente indirizzo: http://www.gopetition.com/online/33441.html

La situazione sembra davvero drammatica.

In questo 2010 il settore del restauro sta vivendo una fase critica: il caos regna sulla formazione; i corsi dell’I.C.R. e dell’Opificio delle pietre dure sono bloccati; il decreto che dovrebbe mettere ordine sulla qualificazione dei restauratori ed istituire finalmente un elenco ufficiale rischia il naufragio; il Ministero per i Beni Culturali non assume più restauratori da dieci anni ed ormai l’età media dei dipendenti ministeriali supera i 50 anni. Nel frattempo il mondo dell’imprenditoria edile ha fagocitato gli appalti specialistici di restauro ed ora anche l’I.C.R. rischia la chiusura. E pensare che recentemente l’Onu aveva descritto i nostri restauratori come “I Caschi blu della cultura”!

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