Un altro suicidio da crisi. Troppi debiti, si spara non lontano dal convegno Pmi
È successo a Torino. Vittima un imprenditore dell’ortofrutta di 61 anni
La Stampa, di Massimo Numa -
Lasciava suonare il telefono a vuoto. Sul display compariva quel prefisso di una città del Centro Sud, sede di una finanziaria a cui si era rivolto pochi mesi fa per tentare di salvare la sua azienda. Uno squillo continuo, angosciante, che si spegneva per poi riprendere insistente. Giorno dopo giorno. Mentre i conti non tornavano più, con le cartelle di Equitalia, recapitate con martellante precisione. E il rapporto con le banche, diventato inutile.
Da lì, solo il rendiconto di una discesa lenta, inesorabile. Quando è sabato, banche, finanziarie, Equitalia sono chiuse. Il telefono non suonava più, quel maledetto prefisso sarebbe ricomparso puntuale solo alle 9 del lunedì, raccontava agli amici quasi con un’amara ironia, poi alle 13, poi alle 18, a volte anche dopo. Staccare o aspettare che lo squillo si esaurisse da solo.
Così Luigi Melillo, 61 anni, imprenditore del ramo ortofrutta, azienda con sede nel grande complesso del Caat di Grugliasco (Torino), ieri pomeriggio, nel suo appartamento di via Montevideo 8, nel quartiere medio-borghese di Mirafiori Nord: non lontano dall’Oval Lingotto, dov’era in corso il convegno della piccola industria. L’uomo s’è sdraiato sul letto, ha preso uno dei suoi cinque fucili da caccia, ha appoggiato la canna al mento e ha tirato il grilletto. Morto sul colpo.
Domani «il dottor X» della finanziaria X troverà il telefono staccato, proverà e riproverà, cambiando il numero, rendendolo sconosciuto, e preparandosi all’ultima minaccia. E le cartelle di Equitalia, lasciate in ordine nei cassetti, con la data e la cifra destinata a moltiplicarsi con il trascorrere del tempo, diventeranno finalmente carta straccia. L’incubo è finito. Le buste degli estratti-conto alla fine non le apriva neanche, «tanto è inutile», diceva.
Gli occhiali da presbite non ingrandiranno più le cifre in rosso, lo sguardo preoccupato dei dipendenti e dei fornitori sarà l’ultimo dei ricordi. Adesso, il segreto della vita e della morte di Luigi Melillo, è chiuso nelle parole della compagna, che spiega ai poliziotti della squadra mobile di Torino le ragioni di una morte immersa nella penombra della camera da letto di una casa borghese, con l’immagine della Madonna e la palma benedetta. Una vita trascorsa nel labirinto del Caat, uno dei mercati ortofrutticoli più importanti e grandi d’Italia, i «muletti» che muovono bancate di frutta e verdura; da qualche tempo il giro d’affari era sceso in modo drammatico, all’orizzonte neanche l’ombra della ripresa.
Melillo, come tanti colleghi, era gravato da uno spaventoso carico fiscale, dal costo del lavoro, dalle scadenze sempre più pressanti. Era un bravissimo mediatore, una persona perbene che aveva sperato invano di lasciare l’azienda in condizioni floride e di riposarsi dopo decenni di sveglie in piena notte, nel freddo e nella nebbia dell’alba, per aspettare i camion, una processione incessante nei cancelli presidiati dalle guardie a caccia di lavoratori «in nero», per poi morire di caldo d’estate, nella piana avvolta da un grigiore soffocante. Finita così. La pensione ormai solo un miraggio, già divorata dai debiti. Non sarebbero bastate altre due vite per uscire dalla tela del ragno. Luigi Melillo ha scelto un’altra strada. �