La notte dei lampi a Spazio Artificio, l’irresistibile fascino della follia surrealista.
“Certo che non ci vedete niente di strano, voi siete dei surrealisti. Io però sono un tipo normale.”
E’ delle più felici battute dell’ultimo Woody Allen, contenuta in ‘Midnight in Paris’ e messa in bocca a un Owen Wilson, alle prese con il gruppo di surrealisti composto da Dalì, Man Ray e Luis Buñuel. Tutto quello che sei capace di immaginare, è già Surrealismo. Non ha regole e non ha limiti. E così può capitare che una sera, a teatro, prima di entrare in sala, ti venga chiesto di scrivere una domanda e una risposta. E che gli spettatori siano parte sparsa della scenografia e che lo spettacolo sia una continua stravagante sorpresa. E che questo continui a sembrarti normale. E avrei potuto esordire anche con una celebre citazione di Luis Aragon -scrittore francese, insieme a Breton e Soupault fondatore del Movimento Surrealista- “nulla è precario come vivere, nulla è effiemero come esistere”. Oppure una di Dalì “La differenza tra me e un folle è che io non sono folle”.
Citazioni sparse, che basterebbero da sole a comporre uno spettacolo. E invece, a Spazio Artificio per “La notte dei lampi, serata surrealista” ci hanno messo anche dell’altro. Molto altro. Lo spettacolo, regia di Fabrizio Bancale, in scena dal 23 al 27 maggio, è un tripudio di Surrealismo. Dalla ricercata scenografia magrittiana alla ‘Golconde’, agli improvvisi cambi di scena e ai contenuti frutto di un sapiente collage. Non c’è davvero una storia, non si racconta nulla se non la follia e la legittimazione di essa come arte.
“Comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale”, è così che Manifesto Surrealista del 1924 definisce il movimento. E proprio dal 1924 parte questo spettacolo pieno, sorprendente e coinvolgente, ricco anche di spunti comici.
Tre attori in scena, Evelina Nazzari, Gaia Riposati e Massimo Di Leo, difficile scegliere il più bravo, e perché poi doverlo fare sempre. Arricchito dalla proiezione di alcuni fotogrammi de ‘Il cane andaluso’, film di Dalì e Bunuel, scritto nel 1929 e celebre per la ‘scena dell’occhio’ e del cortometraggio ‘Destino’, i cui bozzetti iniziali erano dello stesso Dalì, lo spettacolo tiene viva l’attenzione sempre. Come a immaginarsi continuamente deviazioni sceniche. Tutto, sempre, in assoluto stile surrealista. Sempre sul filo di quello che non ti aspetti. E’ così che funziona, il Surrealismo. Può significare qualsiasi cosa, eppure sembrerà sempre tutto normale. Come domande e risposte messe insieme, a caso, possano svelare il mondo, o anche solo un pezzetto piccolo.
“Si può mentire dicendo la verità? Il castello nel cielo e altre cose…”. Se non ci vedete niente di strano, è perché siete fatti di Surrealismo.