“Aspettando Godot” alla Casa delle Culture, come riempire un’attesa
di Arturo V. Adamo -
“La vita è proprio quello che ti capita mentre sei indaffarato a fare altri progetti”, cantava John Lennon a suo figlio Sean, in “Beatiful Boy”. Non ci è dato sapere esattamente che progetti facesse la voce dei Beatles mentre gli ‘capitava’ la sua vita, ma è probabile che non abbia avuto da lamentarsi dell’alternativa, dopo. Certe realtà sono più fantastiche delle più fervide immaginazioni.
Certe altre no. Certe altre realtà non aspettano che di essere stravolte dall’immaginazione. E ognuno di noi ha la sua attesa. Per qualcuno è una persona, per altri un momento. Per certi, un miracolo. Per Samuel Beckett, drammaturgo irlandese, premio Nobel per la letteratura e genio del surrealismo teatrale, il concetto di attesa si sviluppa intorno a un unico personaggio, il suo più famoso, benché privo di forma, voce e anche interprete. Ambizioso questo Beckett, il suo è l’unico personaggio che può permettersi di non apparire mai ma di surclassare tutti gli altri in fama e importanza. Neanche fosse Dio. L’ultima rappresentazione di ‘Aspettando Godot’ è in scena dal 23 febbraio alla Casa delle Culture, per la regia di Claudio Capecelatro, anche attore nei panni di Vladimiro (detto anche Didi), uno dei due vagabondi protagonisti della pièce insieme a Estragone (detto Gogo).
I due aspettano in una immaginaria campagna –rappresentata solo con un albero grazie ai cui cambiamenti si avvertirà lo scorrere del tempo- l’arrivo di questo fantomatico signor Godot, che potrebbe e dovrebbe, cambiare le loro vite. Alla loro attesa si aggiungeranno altri due personaggi, Pozzo e Lucky, padrone e servo, legati da una corda tramite la quale il primo soggioga il secondo. A spezzare questa routine e a cadenzare la fine di ogni atto arriva il “ragazzo” mandato dal signor Godot , che annuncia che quest’ultimo non arriverà fino al giorno seguente. La delusione è palpabile sul palcoscenico e anche tra il pubblico, soprattutto quando, dopo lo scambio di battute tra i protagonisti “bene, andiamo?”, “si andiamo” si comprende che ad andarsene -momentaneamente- saranno solo gli attori e che ci sarà un altro giorno –leggi atto- di attesa. E, soprattutto, quando si comprende che il giorno successivo sarà quasi identico al precedente. Lo spettacolo è ben recitato, nel senso che l’idea di noia che Beckett voleva insinuare nello spettatore permea tutta la platea e l’attesa di Godot, come unico antidoto alla tediosità dei tempi scenici, diventa una comune ragion d’essere. Anche chi, come me, conosceva già la fine del dramma, non ha avuto difficoltà ad apprezzare ogni passaggio della trama, in virtù delle suddette considerazioni. Capecelatro è un eccellente Didi, affiancato da un irriverente Roberto Zorzut nei panni di Gogo. La scena nella quale i due si “passano” Lucky – Alessandro Gruttadauria - sconvolto nel pieno dei deliri del suo pensiero cantilenato da parole senza senso, è esilarante. Si sentiva tra le risate degli spettatori quella punta di sarcasmo tipica del riso isterico. Veramente geniale nel testo di Beckett l’induzione all’ambivalenza e ottima l’abilità degli attori nel creare la reazione in sala. Chissà, magari anche certi spettacoli accadono mentre si cerca di metterne in scena altri.
Dopo, mentre camminavo per tornare a casa, mi sono messo a pensare a John Lennon e ho cominciato a canticchiare una vecchia hit dei Beatles, quella che fa “It’s been a hard day’s night, And I’ve been working like a dog, It’s been a hard day’s night, I should be sleeping like a log” etc etc.
Aspettando Godot
Casa delle Culture dal 23-2 al 11-3-2012 - Via di San Crisogono 45, Roma
http://www.casadelleculture.net/