“Corti – Pacchetto arancione”, una tavola imbandita di leccornie cinematografiche
di Rossana Soldano -
E poi, finalmente, si ride. Di sane surreali grasse e grottesche risate. E’ uscito venerdì 20 aprile, in poco più di venti sale in tutta Italia, ‘Corti – Pacchetto arancione’, cinque cortometraggi sui generi humour e commedia. In realtà, nel caso di questi cinque corti, il termine commedia rimane un po’ stretto, anzi rammendato, come se non si riuscisse a trovare qualcosa di meglio. Qualcosa per descrivere risate piene, di contenuti, di idee, di una comicità difficile da trovare nel cinema di ‘superficie’, quello delle risate facili, quello seminato della volgarità prevedibile e neanche troppo attraente.
E invece Nicola Piovesan, Andres Maldonado e Luca Meloni, Tak Kuroha, Carmen Giardina e Alfredo Fiorillo battono, ognuno a poprio modo, una strada diversa, anzi molte strade diverse. C’è più in questi cinque corti che in un’intera stagione di commedia all’italiana. All’estero se ne sono accordi, premiando le cinque opere con una serie di premi che messi insieme supera il nastro dei pellicola dei loro film, difficile ma possibile. Difficile ma giusto. Presi singolarmente, ognuna di queste cinque pellicole è già sufficiente a giustificare il prezzo del biglietto. Insieme sono un regalo da saldi di stagione. Messi davanti a un lungometraggio probabilmente offuscherebbero il film stesso (poche produzioni, italiane e non, reggono il confronto con queste piccole perle).
La proiezione comincia con ‘Mutande di ricambio’ di Andrés A. Maldonado e Luca Merloni, uno spaccato della quotidianità di un single a costante ricerca e confronto col sesso opposto, e prosegue con ‘Clacson’ di Tak Kuroha, un brevissimo racconto sulla giungla urbana. Carmen Giardina sorprende con la sua ‘Grande menzogna’, in scena due dive assolute della storia del cinema, Anna Magnani e Bette Davis, con un finale da pazzi. Chiudono l’allucinante (in senso buono) ‘Pene d’amore’ di Alfredo Fiorillo, con uno storia di amore e mafia, personaggi alla Tarantino e qualche cameo, e ‘Il Garibaldi senza barba’, una storia non riassumibile in una didascalia.
Fermi a causa di una impietosa distribuzione, a causa del mercato ancora chiuso al genere, questi corti troverebbero, e miracolosamente, sporadico spazio solo prima della proiezione di altri lungometraggi. Sarebbero, in sostanza, l’antipasto. Ma sarebbe come servire tartufo bianco prima di una cena a base di fagioli o di pollo alle teste di branzino. Un generoso spreco di qualità, un confronto impietoso. Approfitterei, dunque, di questa proposta della ‘Distrubuzione indipendente’ e mi godrei un intero pasto di leccornie, alla faccia del cinema, pardon cibo, spazzatura che ci viene proposto continuamente.
(chissà come mi sarà venuta in mente quest’associazione con le leccornie, potrebbe dipendere dal fatto che all’anteprima stampa mi sono abbuffata di gelatine di frutta?)